Milano: primi medici a quattro zampe

A Milano c’è una nuova coppia di dottori, e nonostante siano propriamente definibili “cani”, questi non si offendono affatto. Lucy e Glenn sono i primi medici a quattro zampe (due labrador) a lavorare in Italia, arrivati dall’Inghilterra.

Dopo l’attento addestramento, la coppia è arrivata in Trentino Alto Adige. La loro qualità? Un naso infallibile.
Lucy e Glenn, infatti, sono addestrati a riconoscere e fiutare i tumori, persino prima di quanto non riescano a fare i moderni test, e non solo: senza eseguire alcun esame del sangue, si può controllare il livello glicemico nel sangue dei diabetici di tipo 1 attraverso il fiuto, sono in grado di diagnosticare il raro morbo di Addison o la narcolessia. E forse (questo lo si scoprirà) saranno in grado di scoprire chissà quante altre novità in campo medico scientifico.

Come i loro colleghi della polizia, non sbagliano un colpo. Questi cani sono inoltre un vantaggio economico notevole, visti i tempi che corrono nell’ambito ospedaliero. Lucy ha sei anni, ha un lucente pelo nero, e stupisce tutti coloro che sono stati invitati per metterla alla prova: è in grado di diagnosticare carcinomi vescicali,  polmonari,  renali, prostata.

Glenn invece è un allegro giovanotto (solo un anno e mezzo d’età!) ed è qui in Italia per completare il suo addestramento. La Medical Detection Dogs Italia (Mdd) è la Onlus che si occupa attualmente della sperimentazione, lavorando con i due labrador alla ricerca di cellule tumorali nelle urine, e i cali di zucchero nei diabetici di tipo 1. In Inghilterra questo lavoro è in atto da tempo, ed è constatato che i cani sono in grado di trovare le cellule tumorali, specie nello stadio iniziale. Questo è in grado di salvare molte vite.

Qui in Italia, Lucy ha un ambulatorio tutto suo, dove le urine vengono congelate e trattate appositamente da rilasciare alcune particelle volatili che Lucy annusa. Se la diagnosi è positiva, Lucy si siede (o si sdraia) davanti al campione in cui fiuta le cellule malate.

L’attendibilità di questi animali supera il 90%. I dati pubblicati nel 2006 dalla rivista scientifica British Medical Journal rivelano addirittura un 98% di attendibilità. Lucy e Glenn ad ogni modo non sono i primi nel loro campo: il primo caso riconosciuto risale al 1989 infatti, dove un dalmata, dopo aver ostinatamente annusato per mesi un neo sulla gamba della proprietaria, ha destato qualche sospetto fino a spingerla a farsi visitare. L’esito? Un tumore maligno (melanoma).

Questo caso ha aperto la strada all’inserimento di tanti altri giovani cani nel mondo della medicina, con grandi e soddisfacenti risultati, grazie ai loro nasi – il cui olfatto supera di centomila volte quello umano. Grazie all’odore particolare che hanno i tumori, che si diffonde rapidamente anche nel fiato e nelle urine della persona malata, un cane è in grado di trovare un cancro polmonare quando ancora non è diagnosticabile, semplicemente annusando l’alito del paziente.

Dopo quindici anni di lavoro con i cani, ora c’è un nuovo orizzonte per questi esperimenti: difatti, se le cellule tumorali hanno un odore allora anche batteri e virus lo hanno.

Elia Anelli

La crescente paura delle mamme

Quello che è un evento del tutto naturale, un cambiamento spirituale e fisiologico che avviene (o dovrebbe avvenire) in ogni donna adatta, è sempre di più oggetto di discussioni e timori.
Questo perché la vita di oggi non permette a nessuno di fermarsi a lungo, e la paura di sbagliare, rischiando di fare del male al proprio bambino – spesso ottenuto dopo grandi difficoltà – è all’ordine del giorno per gran parte delle donne moderne.
E’ giunta però, in soccorso a coloro che temono persino di nutrire il loro piccolo con il latte materno, la 15esima edizione de “La Settimana per l’Allattamento Materno”, organizzata dall’Alleanza Mondiale a favore dell’Allattamento.
Per i primi sei mesi di vita del neonato – minimo – l’allattamento al seno è preferibile, visto l’aiuto che si da al piccolo attraverso la nutrizione (senza contare il legame che si crea durante l’atto).
Si tratta infatti di una vera e propria “botta di energie”: nel latte materno sono contenuti grassi, proteine, ferro, e sostanze biologiche e immunitarie che sono completamente assenti nei sostituti artificiali, che sostengono lo sviluppo intestinale del bambino e lo proteggono da infezioni batteriche e virali.
La Danimarca è il paese europeo dove c’è la maggior quantità di donne che allattano al seno: si tratta del 99,5%.
Mentre in Italia, una volta uscite dall’ospedale solo 6/7 donne su 10 “mantengono l’andazzo”, ricorrendo al cosiddetto allattamento misto (biberon e seno, a seconda delle occasioni) – ma anche questo dura poco.
Arrivati al terzo mese d’età il 50% dei neonati italiani inizia a vedere il seno materno come un bel ricordo lontano, e al sesto mese è solo il 10% di questi che ancora si attacca alla mamma per mangiare.
Giuseppe Giordano, neonatologo a Palermo, sostiene che per aiutare la neomamma durante il meraviglioso ma complicato percorso di crescita del bambino, sia essenziale il coinvolgimento del padre.
“Il coinvolgimento del papà è molto importante, perché fa letteralmente il cane da guardia, sostenendo la compagna e proteggendola da ingerenze familiari, spesso controproducenti” dice.
Un valido aiuto è anche dato dai corsi di preparazione alla nascita, così come è fondamentale sostenere la donna anche dopo la nascita del pargolo.
Alcuni consigli da seguire per favorire il corretto allattamento al seno sono:

  • Far rimanere insieme madre e figlio fin dai primi minuti dopo la nascita, per sviluppare il contatto “pelle-a-pelle”: importantissimo non solo per creare un legame affettivo, ma per mantenere la temperatura del neonato, calmarlo, liberarlo dallo stress. Il primo allattamento dovrebbe avvenire entro un’ora.
  • Allattare il bambino “a richiesta”, evitando orari rigidi.
  • Controllare la postura del piccolo mentre poppa, evitando di staccarlo dal seno prima che abbia finito.
  • Evitare l’uso di tettarelle artificiali e ciucci durante i primi mesi di vita.
  • Evitare liquidi artificiali in sostituzione al latte prima della prima poppata.
  • Non lavare il seno subito dopo la poppata, ed evitare creme ed unguenti sulla zona (il seno è provvisto di ghiandole naturali che provvedono automaticamente alla disinfezione dell’areola)

Elia Anelli

UNESCO: allarme barriere coralline

Un’indagine completa attraverso il monitoraggio di 214 barriere coralline appartenenti al Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, ha rilevato che la superficie dei coralli è scesa vertiginosamente, quasi dimezzandosi.

Uno dei fattori chiave per il deterioramento del corallo è il boom di nascite di una particolare specie di stella marina, chiamata “Corona di Spine” (Crown of Thorns), che i ricercatori etichettano ufficialmente come la colpevole.

Nelle giuste condizioni, le “Corona di Spine” possono produrre decine di milioni di larve, innescando una specie di “assalto” che ha come vittima la popolazione di coralli che abita le scogliere, incapace di difendersi.

Questi animali, riescono a consumare i coralli e a divorare le specie che vivono nel loro stesso ambiente, nonostante sia un animale molto lento. Dotata di un numero di “braccia” che varia da 12 a 19 e completamente ricoperta di aculei, questa creatura si rivela dannosa anche per l’uomo. La puntura di uno dei suoi aculei infatti, provoca nausea, vomito, bruciore e gonfiore alla parte interessata, il tutto per una durata che può raggiungere anche le quattro ore.

Altri fattori che influiscono seriamente sulla barriera corallina sono i danni provocati dai cicloni, che hanno causato circa la metà di tutte le morti dei coralli, e le drastiche variazioni di temperatura. Se sui cicloni purtroppo non si può influire, sulla Corona di Spine sì, e lo pensa anche John Gunn, direttore generale dell’Australian Institute of Marine Science, che ha condotto lo studio e ha detto: “Non possiamo fermare le tempeste, ma forse siamo in grado di fermare le stelle marine.”

I dati infatti, dimostrano che i coralli possono recuperare la situazione, ma questo può richiedere anche vent’anni. Gunn conclude dicendo che ulteriori studi sono necessari: per capire che cosa provoca le esplosioni demografiche di stelle marine, e trovare il modo di intervenire per proteggere la barriera corallina dai predatori.

Alcune teorie non si fanno scrupoli a puntare il dito contro l’umanità: pare infatti che la causa principale della nascita di questi esseri, nemici delle barriere coralline, siano i fertilizzanti che arrivano dalla città. Altri ancora sostengono che la causa sia un particolare tipo di alga.

Pare che per un po’, dunque, gli unici coralli che vedremo saranno al collo di qualche signora eccentrica.

Elia Anelli