Animali esotici come pet: niente di naturale, niente di sano. Ecco perché.

Il processo di Co-Evoluzione che ha caratterizzato il legame tra Homo sapiens e Canis lupus familiaris è singolare nella storia dell’Uomo e anche del cane. Il cane non è infatti solo il migliore amico dell’Uomo, ma è anche l’unico animale con cui abbiamo sviluppato un peculiare canale comunicativo inter-specifico e un legame consolidato anche a livello endocrino.

Uno studio  giapponese del 2015 pubblicato su Science ha infatti dimostrato che il solo sguardo reciproco tra cane e umano stimola in entrambi la secrezione di ossitocina (chiamato “ormone dell’amore”). Cosa che, secondo i ricercatori di Tokyo, durante gli esperimenti, non è avvenuto tra Uomo e lupo. Tra Canis lupus familiaris e Homo sapiens sembra quindi esserci, anche a livello endocrino, lo stesso rapporto che c’è tra madre e figlio o tra partners.
Insomma, approssimativamente 25 mila anni di domesticazione hanno fatto in modo che cane e Uomo creassero questo peculiare legame che solo in casi di simbiosi sembra esserci, che sviluppassero un unico sistema comunicativo intra-specifico e che da entrambe le parti si perdesse la paura e l’aggressione a favore invece di un rapporto più amichevole e basato sulla fiducia reciproca.

La Co-Evoluzione intraspecifica è quel processo mediante il quale due specie appartenenti a due linee evolutive parallele, in un determinato momento della storia evolutiva, si sono incrociate modificando il resto dell’evoluzione per ambo le specie. In poche parole, l’Uomo non sarebbe quel che è oggi, se non avesse mai incontrato il cane, e viceversa.

Cosa diversa succede invece per gli animali selvatici: animali con i quali quindi l’Homo sapiens  non ha mai condiviso parte della sua storia evolutiva, modificando il suo comportamento in funzione di questi e né modificando il comportamento dei selvatici per convivere con l’Uomo.
I cani, probabilmente all’incirca 25 mila anni fa, hanno iniziato ad avvicinarsi agli accampamenti umani per approfittare dei resti di carne e cercare riparo dai predatori e dagli agenti atmosferici. Viceversa, l’Uomo nel cane ha trovato, secondo molte teorie evoluzionistiche, un ottimo alleato nella caccia e un’efficace guardia e protezione da altri carnivori.

Si sostiene che il gatto (Felis silvestris catus)sia venuto a contatto con l’Uomo creando un rapporto di fiducia e opportunismo reciproco probabilmente quando gli insediamenti antropici hanno iniziato ad essere infestati dai roditori. In quel momento l’Uomo ha usato il gatto ed il gatto ha usato l’Uomo, quindi da circa 7 mila anni gatto e Uomo condividono ambienti urbani e non, ed entrambi si sono sviluppati socio-cognitivamente a vivere con l’altro.
Questo è quel che si definisce Co-Evoluzione e animali come il cane, il gatto, le vacche, i cavalli, le pecore ecc., sono per questo definiti domestici.

In effetti, si parla di domesticazione (da domus: casa) per definire quel processo attraverso il quale un’intera specie animale si adatta all’Uomo attraverso svariate modificazioni genetiche che avvengono nel corso di generazioni e attraverso una serie di eventi di adattamento prodotti dall’ambiente. Nel caso del cane, tutto ciò è successo nell’arco di 15-35 mila di anni, e sta ancora accadendo.
Nel corso di molte migliaia di anni, solo poche specie sono state domesticate, mentre altre potrebbero non esserlo mai, nemmeno dopo molte generazioni di allevamento selettivo. Si parla invece di animale addomesticato o ammaestrato quando il processo di addomesticazione riguarda un singolo individuo, reso docile ed obbediente, ma la cui specie di appartenenza rimane selvatica e geneticamente uguale all’esemplare divenuto mansueto.
Il cane è un animale domestico, il leone del circo è un animale addomesticato:  la differenza la si trova nella componente genetica che ci permette di distinguere un cane dal lupo e che non differenzia invece il leone nato e cresciuto in cattività (anche da numerose generazioni) e il leone selvatico della savana africana.
Una tigre addomesticata, rimane un animale selvatico la cui condotta (del singolo) è stata modificata per soddisfare i bisogni dell’Uomo, ma rimane tuttavia un animale appartenente ad una specie selvatica e la genetica del singolo individuo addomesticato è identica a quella dei conspecifici wild, così come i suoi bisogni etologici e perciò, sebbene cresciuta in cattività, la singola tigre non si può definire una animale domestico. Ma addomesticato.

Agli inizi degli anni 50 un genetista sovietico, Dmitrji Beljaev, volle studiare il processo della domesticazione e effettuò degli esperimenti su alcune volpi selvatiche facendo accoppiare tra loro solo gli individui più docili e mansueti. L’esperimento è ancora in corso e si sta dimostrando che le volpi utilizzate, divenute generazioni dopo generazioni sempre più docili, hanno iniziato ad avere una pelliccia più chiara, un ciclo mestruale semestrale, le orecchie più abbassate e la coda alzata. Etologicamente, il loro comportamento è più simile a quello di un cane che a quello di una volpe selvatica. I circa 2000 esemplari di volpi addomesticate, dopo 6 generazioni, hanno infatti dimostrato di essere meno schive nei confronti dell’Uomo e di avere tratti amichevoli e atteggiamenti confidenziali come lo scondizolio e il mugolio.
L’esperimento sulle volpi argentate sovietiche è stato uno degli unici al mondo nella storia scientifica a dimostrare che specie selvatiche possono essere domesticate, cambiando geneticamente ed etologicamente gli individui con la sola perdita dell’aggressività e della paura. Tuttavia centinaia di generazioni di felini e altri animali selvatici a stretto contatto con l’Uomo (come nei circhi) non hanno reso possibile il cambiamento né etologico, né morfologico e genetico a livello di specie di leoni, elefanti, tigri etc.

Non tutte le specie di animali possono, dunque, essere rese domestiche e per quelle selvatiche, che hanno determinate necessità etologiche imprescindibili con la vita antropica, non è naturale, né etologicamente e biologicamente sano vivere a stretto contatto con l’Uomo in quanto tali necessità non potranno mai essere soddisfatte.

Sanitariamente parlando, le specie selvatiche hanno un diverso sistema immunitario rispetto alle domestiche che hanno, invece, sviluppato un sistema immunitario e di difesa virale adatto all’ambiente umano e urbano. Per tale motivo gli animali selvatici sono maggiormente esposti ai virus umani (Come l’Herpes simplex HSV-1  il classico virus dell’Herpes labiale), che in alcuni casi per gli animali selvatici possono essere letali.
Eticamente ed etologicamente, invece, un animale selvatico reso docile viene privato della sua natura e sebbene sia stato ammansito e addomesticato, la sua specie di appartenenza rimane selvatica e per questo motivo ogni cambiamento comportamentale che volontariamente o involontariamente l’animale subisca viene definita violenza etologica.

Per citare il filosofo studioso dell’animalità (umana e non ) Felice Cimatti, una tigre che non è in grado di esprimere il suo etogramma (repertorio comportamentale tipico di una data specie) non è una tigre, così come una zecca, che finché si trova immobile su un filo d’erba in attesa di succhiare il sangue da un mammifero non è una zecca, ma ha solo le potenzialità e le funzionalità di esserlo.

In una recente review del dipartimento di Animal Behavior and Welfare Research Group dell’Università inglese di Gloucestershire sono stati analizzati i motivi principali di carenza di benessere e di problemi sanitari negli animali selvatici tenuti come animali domestici. Sono stati quindi indagate le condizioni di vita in cattività e quelle che dovrebbero essere quelle etologiche e sanitarie in Natura di pappagalli (Psittaciformes), roditori quali conigli, lepri, Degu (Octodon degus), porcellini d’India, rettili e anfibi.
Nello studio si sottolinea come la mancanza di conoscenza etologica, sanitaria, alimentare e biologica delle specie selvatiche commercializzate come pet  metta a repentaglio la salute, il benessere e in alcuni casi la vita degli animali selvatici che teniamo in casa, oltre a provocare insoddisfazione e frustrazione nei proprietari di questi.
I ricercatori rimarcano sul concetto secondo cui gli animali selvatici hanno bisogni ed esigenze etologiche che possono essere soddisfatte adeguatamente solo in Natura per ragioni di spazio e di relazioni e composizioni sociali. Queste esigenze biologiche in casa logicamente, non possono essere appagate sufficientemente per garantire un buon livello di Welbeing: un concetto profondamente più radicato nel benessere psico-fisico e legato alle necessità biologiche specie-specifiche e non solo ai bisogni fisiologici, fisici e vitali dell’animale (Welfare) che in questo caso ambienti domestici potrebbero anche essere soddisfatti. Ma non sarebbe sufficiente una sola condizione di Welfare per poter parlare di benessere in toto.

Chiara Grasso

Fonti:

Filosofia dell’animalità – Felice Cimatti – 2013
Behavioural aspects of animal domestication – Edward O. Price – 1984
Domesticated: Evolution in a Man-Made World – Richard Francis – 2015
Origins of the dog: Domestication and early history. In The Domestic Dog: Its Evolution, Behaviour and Interactions with People – Clutton-Brock – 1995
Earliest evidence for commensal processes of cat domestication – Hu, Y.; Hu, S.; Wang, W.; Wu, X.; Marshall, F.B.; Chen, X.; Hou, L.; Wang – 2014
Oxytocin-gaze positive loop and the coevolution of human-dog bonds – Miho Nagasawa et al. – 2015
Early canid domestication: The farm-fox experiment – L. Trut – 1999
European wildcat and domestic cat: Do they really differ? – Greta Veronica Barbara Regaiolli, Simona Normando, Barbara De Mori, Cesare Avesani Zaborra, Caterina Spiezio – 2017
Herpes Simplex Virus 1 In Animals – Fenner’s Veterinary Virology (Fifth Edition) – 2017
The kiss of death – Herpes Simplex Virus 1 and your pet marmoset – Dorianne Elliott – 2015
The Lion in the Living Room: How House Cats Tamed Us and Took Over the World – Abigail Tucker
Social Cognitive Evolution in Captive Foxes Is a Correlated By-Product of Experimental Domestication – Brian Hare et al.– 2005
Toward understanding dog evolutionary and domestication history – Francis Galibert, Pascale Quignon, Christophe Hitte, Catherine André – 2011
Comparative analysis of the domestic cat genome reveals genetic signatures underlying feline biology and domestication – Michael J. Montague et al. – 2014
ExNOTic: Should We Be Keeping Exotic Pets? – Rachel A. Grant , V. Tamara Montrose , Alison P. Wills – 2017
Mason, G.J. Species differences in responses to captivity: Stress, welfare and the comparative method – 2010

Baby schema: i cuccioli sono scientificamente più teneri

Tutti i cuccioli di mammiferi (Homo sapiens compreso) hanno evolutivamente sviluppato caratteristiche facciali, fisiche e comportamentali che stimolano nell’adulto le cure parentali: occhi grandi, viso tondo, andatura goffa ecc. Tale conformazione venne definita dall’etologo Konrad Lorenz come Baby Schema e questa convergenza sembra essere funzionale non solo nei confronti dei genitori o di altri membri della stesse specie ma anche come difesa anti-predatoria verso altre specie.
Nell’Uomo questo dipende dal genere, dal livello di empatia e insicurezza e dal momento di vita degli individui. Esperimenti sul Baby schema sono stati utilizzati anche da designer per progettare le automobili.

Ci troviamo spesso a guardare un bambino e sorridere, incontrare un cucciolo di cane e provare tenerezza, vedere una foto di un pulcino ed esclamare: “Ma che carino!”. È tutto normale, lo dice la scienza: siamo di fronte a quello che si chiama Baby schema.
L’etologo premio Nobel Konrad Lorenz, nel suo trattato del 1971 “Studies in Animal and Human Behavior” descrive le caratteristiche del Baby schema presente nei piccoli di tutte le specie di mammiferi e molte di uccelli, quali: testa grossa e viso piccolo rispetto al cranio, occhi grandi e tondi, orecchie piccole, muso corto, con mascella poco sviluppata, fronte convessa, guance paffute, arti corti e grassocci, forme arrotondate, pelle morbida, vocalizzi, andatura goffa, comportamento “giocherellone”.

Queste conformazioni morfologiche che caratterizzano i piccoli (Umani compresi) è stato dimostrato provocare negli adulti meccanismi di cure parentali e di attenzione verso il piccolo (Lorenz, 1943). La risposta al Baby schema aumenta l’affetto positivo, la protezione e il controllo verso il cucciolo e allo stesso tempo diminuisce l’aggressività nei confronti di questo (Lorenz, 1943; Nittono et al., 2012). Tale convergenza evolutiva per i piccoli, altrimenti indifesi, infatti è sia un richiamo per le cure parentali di membri della stesse specie, sia un sistema anti-predatorio per evitare gli attacchi da individui di specie diverse.

Anche nell’Uomo il Baby schema è notevolmente attivato. E non solo verso cuccioli di umani, ma anche verso altre specie animali. L’attrazione verso gli altri animali si definisce Biophilia Hypothesis, il cui termine è stato coniato da  Wilson nel 1984. Anche nei cuccioli di Homo sapiens, infatti, il Baby schema sembra attivarsi nei confronti di altre specie, e questo sembra emergere tra i 3 ed i 6 anni d’età (Morris et al., 1995; Borgi and Cirulli, 2013).

Nell’Umano, la percezione alla risposta del Baby schema sembra essere influenzata dal genere: le donne sarebbero maggiormente sensibili alle piccole differenze facciali nei bambini, rispetto agli uomini. Questo potrebbe suggerire che gli ormoni femminili deputati alla riproduzione siano anche importanti nella risposta ai segnali infantili (Sprengelmeyer et al, 2009).

Studi scientifici provano, inoltre, che le donne in menopausa o che assumono pillole anti-concezionali, sembrano essere meno attente ai segnali del Baby schema, rispetto alle donne che non assumono la pillola o che non sono ancora entrate nel periodo della menopausa. Questo suggerisce che la percezione dei segnali infantili, negli individui, corrisponde al livello di motivazione che questo ha nel prendersi cura del piccolo e chiaramente una donna che non è più fertile, artificialmente o biologicamente, non ha la motivazione sufficiente per essere altamente ricettiva ai segnali infantili. Una recente ricerca dell’Università Bicocca di Milano ha dimostrato che le donne, rispetto agli uomini, sono maggiormente predisposte nel riconoscere volti umani in oggetti inanimati (pareidolia) e questo si potrebbe ricondurre  alla capacità del sesso femminile di essere più ricettivo ai segnali del Baby schema e quindi del riconoscimento dei volti in generale, rispetto al sesso maschile (riflessione personale).

Per concludere, un’interessante curiosità proveniente da uno studio pubblicato su International Journal of Design, in cui hanno modificato graficamente la carrozzeria anteriore di diverse automobili, rendendola il più simile possibile alla composizione visiva di un viso di bambino, riprendendo il Baby schema. Hanno dimostrato che la maggior parte dei consumatori ha preferito la vettura modificata con i fanali anteriori più grandi e rotondi e le forme rotondeggianti: il Baby schema è dimostrato funzionare anche nel design e nel marketing.
Insomma, il nostro emisfero destro si attiva maggiormente quando osserviamo un’immagine di un piccolo, il che dimostra che il nostro sistema d’attenzione viene sollecitato e anche il nucleo accucmbens viene attivato maggiormente con la prova che il Baby schema, anche neuronalmente ed endocrinamente, motiva l’adulto nelle cure parentali e nell’affetto invece che nell’aggressività. Persone con un alto livello di empatia, secondo uno studio olandese del 2013, sembrano essere maggiormente ricettive al Baby schema, mentre gli individui risultati narcisistici o insicuri hanno dimostrato essere i meno ricettivi.
Quindi, la prossima volta che davanti ad un cucciolo di elefante vi scappa un sorriso ed una voce imbarazzante, non preoccupatevi: state semplicemente funzionando come biologia comanda. Ma fate attenzione a non essere manipolati da visi infantili la prossima volta che andate a comprare una macchina!

Chiara Grasso 

Fonti:

  • Alice M. Proverbio  Jessica Galli -Women are better at seeing faces where there are none: an ERP study of face pareidolia – Social Cognitive and Affective Neuroscience -2016
  • Borgi M., Cirulli F. – Children’s preferences for infantile features in dogs and cats. Hum. Anim. Interact. Bull. – 2013
  • Glocker, Melanie et al. – Baby Schema in Infant Faces Induces Cuteness Perception and Motivation for Caretaking in Adults – 2006
  • Koyama, Reiko; Takahashi, Yuwen; Mori, Kazuo – Assessing the cuteness of children: Significant factors and gender differences – Social Behavior and Personality – 2006
  • Lorenz, Konrad –  Studies in Animal and Human Behavior. Cambridge, MA: Harvard Univ Press – 1971
  • Mainardi  Danilo – Perché mamma scimmia ama un tigrotto – Corriere della sera – 2011.
  • Marta Borgi, Irene Cogliati-Dezza, Victoria Brelsford, Kerstin Meints, Francesca Cirulli – Baby schema in human and animal faces induces cuteness perception and gaze allocation in children – Frontiers Psychology – 2014
  • Melanie L. Glocker et al – Baby schema modulates the brain reward system in nulliparous women – Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America – PNAS – 2008
  • Miesler, Linda M., Leder, Helmut L., Herrmann, Andreas H. – Isn’t It Cute: An Evolutionary Perspective of Baby-Schema Effects in Visual Product Designs – International Journal of Design – 2011
  • Sprengelmeyer, R et al., –  The Cutest Little Baby Face: A Hormonal Link to Sensitivity to Cuteness in Infant Faces. – Psychological Science – 2009
  • VickyLehmanna, Elisabeth M.J. Huis – The human and animal baby schema effect: Correlates of individual differences Behavioural Processes – 2013
  • Wakako Sanefuji, Hidehiro Ohgami, Kazuhide Hashiya –  Development of preference for baby faces across species in humans (Homo sapiens) Journal of Ethology – 2007[AB1]

 

L’importanza della famiglia nei lupi: le bugie sul maschio alpha

Nei lupi non esiste il maschio “Alpha”. Quello che si è creduto per quasi mezzo secolo è stato scientificamente sconfermato: esiste la famiglia, come negli Umani, composta da genitori e dalla prole. La coppia di adulti hanno prendono le decisioni per il resto branco dal momento che hanno il controllo dei cuccioli.
In Italia ogni anno vengono uccisi 300 lupi, credendo in questo modo di controllare gli attacchi di questi agli allevamenti di animali da reddito. Ma colpire casualmente un membro del gruppo illegalmente e senza cognizione di causa non fa altro che provocare più danni: il gruppo se perde i leader perde il controllo e l’accesso alle risorse, attaccando maggiormente, in questo modo, le specie domestiche.

Fino al 1970 etologi, biologi e veterinari sostenevano l’idea che all’interno dei branchi di lupi (Canis lupus) esistesse un maschio “Alpha”. Tale teoria era stata coniata da Rudolf Shenkel dell’Università di Basilea, che nel 1947 basò le sue ricerche sul comportamento di lupi in cattività. All’epoca non era ancora facile studiare i lupi in Natura e quindi il ricercatore prelevò alcuni individui da diversi zoo e li raggruppò in una specie di colonia in cattività. Questo setting sperimentale confusionale creò un errore scientifico che si protrasse fino al 1970. “Quando si riunisce un gruppo casuale d’individui di qualsiasi specie, questi animali naturalmente lotteranno l’un l’altro e alla fine istituiranno un ordine gerarchico. (Questo è il tipico “ordine di beccata” descritto nei gallinacei.) In questo caso, è appropriato riferirsi all’animale nella posizione più alta come animale “alfa”, o “dominante”, dal momento che ha combattuto per guadagnare la propria posizione. Questo accadde anche con i lupi, quando vennero riuniti artificialmente.” (David Mech).
Lo zoologo L. David Mech nel suo libro “The Wolf: The Ecology and Behavior of an Endangered Species” introdusse la teoria secondo cui il maschio Alpha nei lupi non esiste e ripudiò formalmente la terminologia “Alpha” nel 1999 in “Alpha status, dominance, and division of labor in wolf packs”

Mech nei suoi scritti illustrò la sua teoria e spiegò che la maggior parte dei branchi di lupi non sono altro che nuclei familiari formati da una coppia di adulti, che provengono da gruppi diversi, e la prole. Quando i due adulti, girovagando si incontrano in un’area priva di pericoli, in cui sono gli unici lupi e con un’abbondante quantità di prede, si accoppiano e iniziano a stabilire quello che sarà un branco. Non esiste, quindi, “la lotta al trono” per diventare capo-branco, semplicemente i due adulti possiedono la leadership necessaria a creare fiducia nel resto dei membri del gruppo e quindi prendere le decisioni per l’interno branco. Durante i mesi autunnali, quando i cuccioli iniziano a compiere i primi passi e ad esplorare il territorio, i genitori diventano automaticamente i capobranco in quanto sono responsabili dei cuccioli.

Come succede in altre specie di mammiferi (Elefanti, Giraffe) l’individuo, o gli individui che hanno una maggior esperienza di sopravvivenza, che conoscono meglio il territorio e che sanno come approvvigionarsi delle risorse (nel caso dei lupi della caccia), occupano i rank più alti della gerarchia sociale di dominanza. Queste capacità adattative nei branchi di lupi sono maggiormente sofisticate nella coppia di adulti che ha fondato il branco familiare che non assumono il potere con la lotta, bensì come in una qualsiasi famiglia umana, i cuccioli seguono i genitori ovunque. Più di dominanza e di maschio “Alpha” o coppia “Alpha” si può parlare di una famiglia e di un branco basato sulla reciproca fiducia e sull’ordine e, come in una famiglia umana, non si parla di coppia “dominante”, ma semplicemente di genitori.

Le varie generazioni di cuccioli andranno ad aggiungersi alla popolazione della famiglia di lupi, che anno dopo anno crescerà fino a quando, intorno al secondo/terzo anno di vita dei cuccioli della prima cucciolata, questi cercheranno altri gruppi a cui unirsi per formare altre famiglie/branco. Questo è quanto accade in Natura, data la possibilità per i lupi di spostarsi di centinaia di kilometri per cercare altri gruppi e diversi partner. In ambiente protetto, data la limitata area di territorio a disposizione e dato il numero limitato di individui, è difficile che si formino vere e proprie famiglie come in ambiente naturale ed è probabile che si creino gerarchie di dominanza lineari per l’accesso alle risorse.
Nei branchi si trovano sia la madre sia le figlie adulte, entrambe si accoppiano nell’arco dello stesso anno, le figlie di solito con maschi provenienti da altri branchi. Quando in un branco più di una partorisce, le femmine possono diventare competitive, in questo si potrebbe chiamare la femmina capostipite “leader” o “matriarca” e le figlie adulte “seguaci” o “gregarie””. (David Mech)

La leggenda del lupo cattivo mangia bambini in Italia è, purtroppo, ancora una credenza ben fondata che fa sì che ogni 29 ore un lupo venga ucciso. La guerriglia illegale tra allevatori di bestiame e lupi dura ormai da più di 50 anni e i lupi, alla fine degli anni 70 erano arrivati prossimi al baratro dell’estinzione a causa del bracconaggio. Ora se ne contano quasi 1500 e di questi, circa 300 muoiono ogni anno per mano dell’uomo. Avvelenati con veleno per ratti (Fosfuro di zinco) che congela il sistema nervoso e i muscoli del lupo, procurandogli una morte lenta e dolorosa. Ci vogliono 4 giorni affinché il veleno uccida un lupo e nella maggior parte dei casi non muoiono nemmeno a causa del veleno ma per cause secondarie dovute a questo. Uno studio italiano prossimo alla pubblicazione ha stimato che l’83% della mortalità è di causa antropica contro il 17% di quella naturale. La morte più frequente è l’incidente stradale, seguito da denutrizione e attacchi da conspecifici o altri animali. Il veleno infatti modifica il comportamento del lupo, portandolo a rischiare la vita perdendo il senso del pericolo e del controllo. Inoltre non riescono a cacciare e perdono il senso sociale del gruppo e della gerarchia all’interno di questo, innescando negli altri membri del gruppo comportamenti aggressivi e letali.

Quando non si tratta di avvelenamento o di cause collaterali a questo, i lupi in Italia muoiono impiccati o decapitati da allevatori e bracconieri che preferiscono questa soluzione a funzionali cani da guardia anti-lupo o alle recinzioni elettrificate che hanno dimostrato di funzionare nel 97% dei casi. Ma non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e spesso queste uccisioni non controllate ed illegali non fanno altro che peggiorare la situazione. Quanto spiegato sulla gerarchia di dominanza e sull’importanza della coesione familiare per la caccia, gli spostamenti e la sicurezza nei lupi, rende facilmente comprensibile quanto pericoloso sia eliminare un membro del branco che occupa un alto rank di gerarchia all’interno del gruppo, come ad esempio uno dei due genitori. Nel caso in cui i cuccioli e i giovani rimangano senza leader, l’intero gruppo si troverà spaesato e senza guida e sarà quindi maggiormente portato ad attaccare il bestiame e ad avvicinarsi alle zone urbane in quanto sarà venuto a mancare l’importante “faro” che indirizza il branco in territori con più prede e meno pericoli.

In Canada, nei casi in cui un individuo “pericoloso” è stato dimostrato, tramite analisi del DNA sulle tracce genetiche riscontrate in prossimità delle carcasse di animali uccisi, colpire svariate volte il bestiame allora legalmente e selettivamente si andrà ad eliminare solo quel particolare individuo, consapevoli e in modo controllato e logisticamente strutturato. Impiccare lupi a caso, avvelenare i cuccioli e dimezzare la popolazione di lupi italiani, non è la soluzione. Sebbene il problema ed il danno economico per i pastori sia notevole, ci sono soluzioni controllate, legali e maggiormente funzionali e mirate.

Chiara Grasso

Fonti:

  • Alpha status, dominance, and division of labor in wolf packs – L David Mech – Canadian Journal of Zoology – 1999
  • Dominance in Domestic Dogs: A Quantitative Analysis of Its Behavioural Measures – van der Borg JA, Schilder MB, Vinke CM, de Vries H – Plos One – 2015
  • Dominance relationships in a family pack of captive arctic wolves (Canis lupus arctos): the influence of competition for food, age and sex – Cafazzo S, Lazzaroni M, Marshall-Pescini S – Peer J – 2016
  • Leadership in Wolf, Canislupus, packs – Mech, L. David – Canadian Field-Naturalist – 2000
  • Reconciliation in Wolves (Canis lupus): New Evidence for a Comparative Perspective – Giada Cordoni, Elisabetta Palagi – Ethology – 2008