Un roditore oversize

Scritto da:
Paola Nucera
Durata:
1 minuto

Simile al porcellino d’India per il curioso muso e con un pelo folto e ispido come quello dei cinghiali, il capibara (Hydrochoerus hydrochaeris) è considerato il roditore più grosso esistente. Questo animale sudamericano “oversize”, può pesare quanto un uomo (dai 40 kg agli 80 kg) e sfoggia un corpo tondeggiante privo di coda e con zampe tozze e corte. Il suo habitat è costituito tipicamente da acqua, zone di pascolo e porzioni di foresta e la sua distribuzione è ampia: lo si può avvistare da Panama al bacino del fiume Uruguai (nel Nord dell’Argentina), tra le aree paludose del Venezuela (Los Llanos) e in Brasile, dove è particolarmente abbondante nella regione del Pantanal. In natura, i capibara vivono in gruppi in cui un maschio dominante si circonda di 3-5 femmine con i relativi piccoli e in prossimità di fiumi e zone acquitrinose, dove vanno alla ricerca di piante acquatiche, mais e tuberi. Le zampe posteriori sono tipicamente “palmate”, in quanto possiedono una membrana che unisce le tre dita unghiate, facilitandone i movimenti in acqua e rendendoli ottimi nuotatori. Sono, infatti, animali fortemente adattati alla vita acquatica, tanto da essere considerati animali “anfibi” perché si trovano a loro agio sia sulla terraferma che in acqua, dove trascorrono gran parte del loro tempo, compresa la fase di accoppiamento. Nella regione brasiliana del Pantanal, la più vasta area umida del mondo ricca di biodiversità, l’interesse per la conservazione dei capibara ( “capivara” in portoghese) risale a circa venti anni fa, quando l’Embrapa (l’Azienda Brasiliana per la Ricerca in Agricoltura) diede vita al Progetto Capibara, coordinato dal Dr. Cleber Alho dell’Università di Brasilia e da altri esperti. Attualmente esistono diversi studi sull’ecologia dei capibara in aree differenti del Pantanal, che riguardano aspetti del comportamento sociale, gli habitat, la densità, l’uso dello spazio, la dimensione dei gruppi, i modelli di attività, le malattie e i parassiti e, infine, la gestione sostenibile.I capibara sono animali molto paurosi e diffidenti; per poterli osservare è necessario essere molto cauti e silenziosi. In situazioni di tranquillità sono abbastanza pigri e trascorrono la giornata mangiando nelle ore più fresche e riposando in quelle più calde in una tipica posizione “a sfinge”, ma nel momento in cui avvertono situazioni di pericolo si spostano rapidamente in cerca di un nascondiglio tra la boscaglia o addirittura in acqua, dove riescono a rimanere in apnea anche per alcuni minuti o lasciano emergere solo il naso. Risalendo i fiumi del Pantanal è possibile scorgerli sulle sponde dei fiumi, insieme ai piccoli, o sentire le loro vocalizzazioni in lontananza, simili al latrato dei cani. A vederli sembrano animali pacifici e tranquilli anche tra i loro stessi simili, in realtà i gruppi sono regolati da una rigida gerarchia con a capo il maschio dominante e da una forte territorialità. I gruppi sono formati solitamente da un maschio dominante, dalle femmine riproduttive e dai piccoli e le interazioni di aggressività si manifestano quando altri maschi subordinati tentano di avere accesso alle femmine del gruppo. Il maschio dominante, in tali casi, provvede a proteggere l’esclusiva sulle femmine scacciando i maschi giovani, che si danno a vita solitaria.I nemici naturali dei capibara sono gli alligatori (jacaré), i piccoli e grossi felini, tra cui il giaguaro nel Pantanal, l’anaconda, lo sparviero e la volpe delle foreste, ma la sua esistenza è minacciata anche dall’uomo, che lo caccia sia per la carne che per la bonifica delle terre incolte. I progetti di monitoraggio per la distribuzione e abbondanza dei capibara, come quelli attualmente condotti dalla Embrapa in Pantanal, hanno come scopo quello di fornire più informazioni possibili su questa specie, sulle sue popolazioni naturali e i suoi habitat, in modo da approfondire le conoscenze su questo animale ancora poco studiato e definire idonee azioni di conservazione e di gestione sostenibile.

Paola Nucera