Un aiuto per il “delfino” del Gange

Scritto da:
Marco Affronte
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Non tutti i delfini vivono in mare. Nella grande varietà dei Cetacei si contano anche specie di acqua dolce o di acque intermedie, salmastre. I cosiddetti “delfini di acqua dolce” – il termine non sarebbe corretto in quanto non appartengono alla famiglia dei Delfinidi – sono proprio animali adattati alla vita nei fiumi. Ne esistono specie diverse appartenenti a famiglie diverse (qui una sistematica aggiornata dei Cetacei), ma hanno caratteri abbastanza comuni.
Sono specie di taglia non enorme, presentano un rostro molto allungato e occhi piccolissimi. Quest’ultima caratteristica è dovuta probabilmente proprio al fatto che le acque dei fiumi sono in genere molto più torbide di quelle del mare, e dunque la vista perde la sua importanza. Diventa invece fondamentale, e dunque ben sviluppato, il tanto decantato “sesto senso”, cioè il biosonar o ecolocalizzazione. Per questo la “fronte” – in realtà un organo chiamato melone, che è una lente di grasso che concentra i suoni – in questi animali è molto prominente.

Purtroppo, un’altra caratteristica che i cetacei di fiume condividono è anche quella di essere, in genere, a rischio di estinzione, minacciati dall’impoverimento e dai cambiamenti del loro ambiente e anche dal traffico navale che percorre queste vie d’acqua. Non a caso, la prima specie di Cetaceo mai estinta a causa dell’uomo è, anzi era, un delfino di fiume: il Lipote.
Il Lipote, o Baiji (Lipotes vexillifer) viveva nel fiume Yangtze in Cina. Una spedizione di sei settimane, condotta dall’Istituto di Idrobiologia di Wuhan e dalla svizzera Baji Foundation nel 2006 si è conclusa con nessun avvistamento di questo animale. La specie è stata quindi dichiarata effettivamente estinta.
Nel 1980 erano circa 400 i Baji (questo il nome comune della specie) che si stimava vivessero nel fiume Giallo. Nel 1997, una estesa spedizione aveva invece contato solo 13 avvistamenti, mentre un pescatore affermava di averne avvistato uno nel 2004.
Il traffico navale e lo sfruttamento eccessivo delle risorse del fiume sono le cause imputate della scomparsa dei Lipotes, specie che era considerata un fossile vivente, avendo mantenuto le caratteristiche acquisite tre milioni di anni fa, quando aveva lasciato il mare per le acque del fiume Giallo di cui era diventata specie endemica.

Ed è per questo motivo che accogliamo con piacere la notizia che un’altra specie di acqua dolce, il Platanista, è stato recentemente protagonista, in positivo, di norme di protezione a sua tutela. Il Platanista del Gange (Platanista gangeticus) vive nel fiume Gange, appunto, nel Brahmaputra e nei loro affluenti, dunque in Bangladesh, India e Nepal.
La specie è catalogata come in pericolo (endangered) nella Red List della IUCN, e la minaccia principale a cui è sottoposta è l’abbassamento del livello del fiume, dovuto al prelievo per irrigazione e produzione di elettricità, con anche conseguente affioramento di banchi sabbia che spezzano il fiume stesso in segmenti separati.

Il Governo del Bangladesh, è questa la buona notizia di cui si parlava, ha recentemente stabilito la creazione di tre santuari, proprio a protezione del Platanista. Questi copriranno un’area di poco meno di 11 chilometri quadrati, per un’estensione di canali di oltre 30 chilometri. Nell’area dei santuari, altri rischi a cui sono sottoposti i Platanista sono le catture accidentali in piccole reti artigianali a maglia finissima, utilizzate per pescare gli avannotti (neonati di pesci), da usare come alimento negli allevamenti di gamberi e anche la crescita del livello del mare che porta acqua salata dentro ai fiumi, riducendo la corrente dei fiumi stessi.
Per le azioni di tutela, fondamentale sarà la collaborazione con le comunità locali. I santuari sono visti infatti come laboratori dove sperimentare pratiche gestionali che bilancino la conservazione della natura, con la crescente domanda di risorse di una popolazione in continua crescita. Un compito non facilissimo.

Marco Affronte