Sapore di sale, sapore di …fiume

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto
 “Chiare, fresche, dolci acque” (dal Canzoniere di Francesco Petrarca)
“Chiare, fresche, dolci acque” (dal Canzoniere di Francesco Petrarca)

Il sapore del sale è stato da sempre legato al mare, da molto prima che Gino Paoli lo elevasse a simbolo canoro per le estati delle ultime generazioni. Come, d’altronde, le “chiare, fresche e dolci acque” cantate dal Petrarca erano da sempre legate ai fiumi e ai torrenti che caratterizzano le nostre campagne.

La salinizzazione dei fiumi è un problema nuovo, che sta coinvolgendo i Paesi di tutto il mondo, con un incisivo impatto ambientale ed un alto costo economico, dal momento che rappresenta anche un rischio elevato per la salute. I cambiamenti climatici, congiuntamente al consumo dell’acqua, possono peggiorare ancor più i futuri scenari, secondo un articolo pubblicato sulla rivista Environmental Pollution, che riporta i risultati della ricerca di un team guidato dagli esperti Narcìs Prat e Miguel Canedo-Arguelles, del Dipartimento di Ecologia dell’Università di Barcellona.

La salinità di un fiume può essere naturale, legata alla geologia e alla climatologia della zona, o di origine antropica, cioè in stretta relazione con gli scarichi di rifiuti domestici e industriali, con le attività minerarie, i residui agricoli e di allevamento e via dicendo.

Negli ecosistemi fluviali di tutto il mondo le concentrazioni di sale conseguenti alle attività umane sono una minaccia per la sopravvivenza degli organismi e delle comunità, per le biodiversità e per l’equilibrio biologico degli ecosistemi; senza dimenticare le ricadute sull’economia e i gravi problemi connessi alla salute.

La salinizzazione è un processo di accumulo di sali che, nel caso dei corsi d’acqua, si verifica principalmente in regioni vicine alle coste a causa di infiltrazione di acque salate che vanno a sostituirsi negli strati acquiferi alle acque asportate e legate a soddisfare la crescente domanda idrica.

Durante il secolo scorso la popolazione del pianeta è triplicata e il consumo di acqua dolce è aumentato del 700 %. Dal 1970, di contro, la quantità d’acqua disponibile per abitante è diminuita del 40 % e due abitanti su cinque hanno problemi di approvvigionamento idrico.

Questa media è generale e ovviamente, regione per regione, la situazione è variegata. Se nei Paesi industrializzati i consumi sono elevati ma l’offerta viene comunque soddisfatta, nel Sud del pianeta la situazione è drammatica.

In Europa il 54% dei consumi idrici è attribuibile all’industria, il 26% all’agricoltura ed il 20% agli usi domestici ma anche qui, nello specifico, la situazione varia da Paese a Paese.

E la salinizzazione delle acque dolci è solo una parte del problema, di portata ben più ampia, della diminuzione generale dell’acqua su scala globale, un fenomeno imputabile a fattori diversi: il calo delle precipitazioni, la graduale scomparsa di zone umide, l’eccessiva captazione di acque sotterranee a scopi industriali, agricoli o anche solo domestici.

“In questo articolo – dice Miguel Canedo-Arguelles, autore principale della pubblicazione, – ci si propone di fornire una visione aggiornata della questione e si sottolinea la gravità degli effetti ecologici ed economici, nonchè le conseguenze sulla salute globale che la salinizzazione dei fiumi comporta. Sebbene questa calamità affligga molte regioni di ogni parte del mondo, pure quasi ovunque si tende ad ignorare il problema”, afferma lo studioso.

La salinizzazione dei fiumi è un problema crescenteche riguarda i Paesi di tutto il mondo (da Sciencedaily)
La salinizzazione dei fiumi è un problema crescente che riguarda i Paesi di tutto il mondo (da Sciencedaily)

“Tuttavia – aggiunge – in alcuni Paesi, quali l’Australia, sono stati effettuati studi locali per diagnosticare in modo chiaro il problema, dal momento che tutti i fruitori delle risorse naturali di alcuni fiumi, dagli agricoltori agli industriali, hanno collaborato nella ricerca di soluzioni”.

Se il caso più estremo è stato rilevato proprio in alcuni corsi d’acqua australiani, si deve sottolineare che  anche in Europa il processo di salinizzazione dei fiumi sta in effetti peggiorando di anno in anno”.

“Anche in Spagna abbiamo questo problema”, afferma Narcìs Prat, direttore del gruppo di ricerca ecologica delle acque dolci e di gestione (FEM) presso l’Università di Barcellona. “Nella pianura dell’Ebro, a causa delle caratteristiche del suolo e del tipo di attività agricola svolta, i fiumi sono più salati che in Australia – spiega – ma qui la conservazione del fiume non è tra le priorità nella gestione delle risorse idriche, quindi questi problemi non vengono affrontati e restano ancora irrisolti”.

Per Prat, la situazione è ancora più grave nella regione della Murcia. “Si tratta di una zona semi-arida, dove l’irrigazione è una attività comune e i fiumi sono salini per lo sfruttamento eccessivo delle risorse idriche”.

Secondo l’articolo, la legislazione attuale è generalmente alquanto flessibile quando si tratta di stabilire i limiti delle concentrazioni di sali nei fiumi. In Europa, la salinizzazione non è considerata un problema importante e, in assenza di norme di qualità ambientali, in molti Paesi gli interessi commerciali e industriali prevalgono sulla necessità di un regolamento per limitare le quantità di sali in soluzione.

Per il futuro, poi – lo studio avverte – i cambiamenti climatici potrebbero produrre come effetto un aumento della salinizzazione dei fiumi in molte regioni della Terra.

Riguardo l’area del Mediterraneo, ad esempio, Miguel Canedo-Arguelles ritiene che ci sia da aspettarsi, nell’immediato, una diminuzione delle precipitazioni, un maggior consumo d’acqua e quindi una maggiore salinità nei fiumi.

“L’aspetto più importante che emerge” – conclude Narcìs Prat – “è l’urgenza di affrontare il problema della salinità, evitando che i Paesi operino in competizione tra di loro, ma collaborino unendo le forze, prima che questo ostacolo divenga davvero insormontabile”.

Alla stesura di questo accorato appello hanno partecipato anche Ben J. Kefford della University of Technology di Sidney, Australia; Christophe Piscart dell’Università di Lione, Francia; Ralf B. Schafer, dell’Università di Koblenz-Landau e Claus-Jurgens Schulz, dell’Istituto di Stato per l’Ambiente e la Geologia della Turingia (TLUG), Germania.

Leonardo Debbia
23 gennaio 2013