Qualcosa sul fondo: nuove scoperte in microbiologia

Scritto da:
Marco Ferrari
Durata:
1 minuto

fondo

Paradossalmente abbiamo mappe migliori della luna che dei fondali oceanici del nostro pianeta. E questo perché le grandi profondità sono decisamente complicate da esplorare. La terra è in pratica composta da placche rigide di grande spessore che galleggiano su una massa di roccia fusa. Le placche si urtano generando le montagne e si allontanano formando le fosse tettoniche delle dorsali oceaniche, che sono una sorta di zona di contatto tra le zolle. Lo spessore della dorsali marine nei punti di distacco delle zolle tettoniche può essere anche di soli pochi chilometri e questo mette in contatto diretto l’acqua del mare con il magma del mantello magmatico sottostante in risalita in punti caldi chiamati “hot spot”. Le placche in questi punti non si saldano in quanto in costante moto di allontanamento, i movimenti delle placche sono relativamente lenti per nostra fortuna, mediamente tre centimetri l’anno e questo giustifica il tutto sommato esiguo numero di terremoti e maremoti del nostro pianeta. Altrove le zolle scivolano l’una sotto l’altra in zone dette di subduzione, la zolla sottesa scende lentamente nel magma e fonde, qui si creano le fosse più profonde del pianeta come quella delle Isole Marianne profonda 11.000 metri; in altri punti le zolle si impuntano l’una contro l’altra dando luogo al sollevamento dei lembi e regalandoci cime come l’Everest.

Insomma le dorsali oceaniche non appaiono le zone più favorevoli per la vita considerata l’enorme pressione, la temperatura dell’acqua prossima allo zero, la presenza di magma a 1200 gradi Celsius che fa ribollire le acque sino a oltre 350 gradi.

Intorno agli anni ’70 gli scienziati iniziarono a chiedersi cosa accadesse in queste grandi voragini sommerse e che caratteristiche avesse il basalto che fuoriusciva da queste enormi spaccature dei fondali.

”C’è qualcosa, qualcosa sul fondo…” queste saranno state forse le parole che descrissero lo stupore di due scienziati alla vista di alcune bizzarre creature sul fondale marino, creature mai viste prima. L’oblò del sommergibile scientifico Alvin permetteva di osservare la frattura del fondale marino nei pressi delle Isole Galapagos a oltre 2500 metri di profondità. I due audaci geologi Corliss e Edmond furono i primi a osservare un mondo avvolto dal buio perenne.

Ma non erano gli enormi cuscini di basalto rappresi sul fondo marino che impressionarono i due studiosi bensì quello che attorniava le scintillanti sorgenti d’acqua calda generate dal contatto delle acqua con magma sottostante, intere comunità di creature marine che non petevano esistere a profondità in cui la luce non arriva e in situazioni tanto proibitive.

Frattura oceanica con fumarola.
Frattura oceanica con fumarola.

La frattura delle Galápagos aveva tutte le caratteristiche adatte per una indagine geologica in quanto il sito faceva parte di una fossa tettonica vulcanicamente attiva, ma qui vi era un ecosistema completo alimentato da un’energia diversa da quella del sole. La geologia lasciava il passo alla biologia marina degli abissi.

Con ulteriori missioni fu possibile rintracciare emergenze particolari sulle sorgenti termali a forma di fumaioli con tanto di fumate chiare e scure formati dalla condensazione delle sostanze magmatiche disciolte nell’acqua, che si depositavano per via del salto termico di raffredamento, questi comignoli degli abissi arrivavano anche a 5/6 metri di altezza, poi crollavano sotto il loro peso. La pressione impedisce al vapore di comportarsi come quello della pentola di casa vostra. Anche qui vi erano ecosistemi inattesi.

Ora ogni ecosistema è costituito da un insieme di organismi viventi che interagiscono tra di loro in vari modi tra cui la simbiosi (scambio di benefici reciproci), il tutto in habitat in cui vi sono componenti abiotiche (ovvero minerali e sostanze nutritive che qui abbondano anche se molti metalli pesanti sono tossici) ma sempre e indispensabilmente il tutto funziona partendo da un flusso di energia eper far funzionare i batteri stessi che sono alla base dell’equilibrio dell’ecositema: I batteri riciclano le sostanze nutritive, rimuovono le sostanze inquinanati e altre utilissime attività.

Ma come se la cavano quindi questi piccoli eroi delle profondità sui quali è basato l’intero microecosistema? Se fossimo nel giardino sotto casa i batteri sfrutterebbero l’anidride carbonica atmosferica (CO2), l’acqua e la luce per ottenere zuccheri ma qui hanno escogitato un altro metodo partendo da CO2, H2O, calore e acido solfidrico (H2S) ricavando i tanto agognati zuccheri. I Pyrolobus fumarii questo il loro nome nella classificazione linneana, non sono quindi fotosintetici cioè attivi alla luce del sole ma chemiosintetici e ciò grazie alla forte termostabilità dei loro enzimi metabolici che lavorano egregiamente sino a a 113 gradi Celsius quando, a queste temperature in superficie, le proteine si sono denaturate da un pezzo come succede alle uova al tegamino a ben più basse temperature. Insomma in una ambiente buio pesto, con acqua bollente e acida i batteri sguazzano.

Ma che tipo di batteri sono? Ci spiegano gli scienziati che si tratta di archeobatteri che hanno origini antichissime e somigliano molto ai primi batteri apparsi sul pianeta, sono diversi dagli altri batteri sia per la capacità di vivere in ambienti come questi che per altre prodezze tra cui per la parete cellulare che permette di sopportare lunghe disidratazioni, sono capaci di sopravvivere in ambienti salini, sono insomma batteri pionieri amanti degli ambianti estremi.

Alobatteri resistenti ad alte concentrazioni di sale.
Alobatteri resistenti ad alte concentrazioni di sale.

E cosa dire del resto dell’ecosistema; a breve distanza dalle fumarole grandi vermi tubulari (Riftia pachyptila) coi quali i batteri hanno sviluppato rappoti simbiotici, poi lumache, gamberetti detrivori e bivalvi giganti, gasteropodi, pallidi gamberetti, che camminano sulle superfici ricoperte di batteri e di zolfo, poi specie di vermi tubicoli di dimensioni ridotte e altri tipi di vermi, tra cui i vermi il cui nome ricorda il sommergibile utilizzato per passare di qui e la città romana distrutta da un vulcano (Alvinellapompejana).

Ma le sorprese non erano finite, si scoprì infatti che i vermi tubicoli, erano dotati di un pennacchio di colore rosso che veniva ritratto in caso di pericolo, il rosso faceva pensare al ferro e all’emoglobina ed infatti così era… nei vermi circolava sangue ed erano inoltre farciti di batteri chemiosintetici con reciproci scambi di protezione ed elementi a base di zolfo da parte dei vermi e di zuccheri da parte dei batteri. Sui pennacchi del verme infatti si depositano composti solforati, ossigeno e carbonio, sfruttati dai batteri per sintetizzare.

L’adattabilità dei batteri non si esaurisce alle profondità, per esempio in fondali marini ricchi di metano (un gas derivato della decomposizione di composti organici) vivono batteri di grandi dimensioni, i più grandi che si conoscano.

E se percorriamo la dimensione al contrario troviamo i batteri più piccoli a noi noti. Prendono in nome di “nanobio” in quanto le loro dimensioni si misurano in nanometri (un milionesimo di millimetro), anch’essi rintracciati sui fondali marini.

Il deserto di Atacama, aridissimo, inospitale, con forti depositi di sale ma anche qui un cianobattere sfrutta la rarissima acqua di condensazione notturna e si divide sulle rocce incrostate di sale e nei periodi ancora più siccitosi crea spore ultraresistenti.

Ed ora un incredibile battere resistente alle radiazioni, per un uomo la dose letale è 1 Krad, il nostro Deinococcus radiodurans resiste a 1.500 Krad grazie ad un sistema di riparazione del DNA astutissimo, i processi di replicazione vedono sempre 4/6 copie di DNA in cui solo due si replicano mentre le altre fungono da copia di controllo facilitando il lavoro degli enzimi di riparazione. Perché sia tanto resistente ancora non si sa ma alcuni studiosi suppongono che tale resistenza possa essere maturata nello spazio e che il battere sia poi arrivato sulla terra con le comete, tutto da dimostrare ma niente male come ipotesi cosmica.

E straordinari sono anche i batteri detrivori che sfruttando la neve di sostanze organiche che scendono dalle acque di superficie generando metano che viene inglobato nel ghiaccio che si forma a quelle profondità per via delle basse temperature. Ne derivano degli idrati di metano, insomma neve contenente gas che portata in superficie brucia tranquillamente. Inoltre è stato da poco scoperto un battere magnetotattico ovvero dotato al suo interno di cristalli magnetici sintetizzati dal batterio stesso, molto resta da scoprire ma vi potrebbero essere utili ricadute in medicina.

Le nuove entusiasmanti scoperte della microbiologia pongono in nuova luce il particolare mondo dei batteri, rammentatelo quando penserete ai due chilogrammi di batteri che vivono dentro e fuori il vostro corpo.

Marco Ferrari
13 dicembre 2013