Grandi eventi alluvionali: ecco cosa si lasciano dietro

Scritto da:
Leonardo Debbia
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Lo Stubby Canyon, nel Malad Gorge State Park, Idaho (credit: Michael Lamb)

La regione centrale del Sud Idaho, negli Stati Uniti, e la superficie di Marte hanno in comune una caratteristica geologica davvero interessante: le valli si chiudono con una ‘testa’ data da un canyon a forma di anfiteatro.

La forma ‘ad anfiteatro’ è rappresentata in natura da altre espressioni del panorama geofisico. Una morfologia che salta subito alla memoria sono – un esempio per tutti – gli ‘anfiteatri morenici’ situati sul fronte dei ghiacciai in scorrimento, formati dai detriti rocciosi sospinti verso valle.

Tornando ai caratteristici canyon dell’Idaho ed alla disposizione ad U delle pareti, verticali ed elevate, li ritroviamo sia nei pressi del fiume Snake, così come sulla superficie di Marte, stando alle foto scattate dai satelliti.

Sulle modalità di formazione di questi canyon sono state date varie spiegazioni, alcune valide solo per l’Idaho, altre solo per Marte, altre ancora valide per entrambi i casi, ma in una pubblicazione sulla rivista scientifica Proceedings of National Academy of Sciences, Michael P. Lamb, docente di Geologia, e il ricercatore Benjamin Mackey, entrambi appartenenti al Caltech, insieme a Kenneth A. Farley, docente di Geochimica della WM Keck Foundation, offrono una spiegazione che pare valida per ambedue le formazioni.

I canyon sarebbero il risultato di enormi inondazioni.

I canyon dell’Idaho sono incisi in una pianura relativamente piatta, composta di basalto, una roccia vulcanica effusiva, originatasi da un hotspot, un punto caldo della superficie terrestre dove il magma giunge direttamente dal mantello, rimasto attivo negli ultimi milioni di anni in quella zona oggi corrispondente al parco di Yellowstone.

Due canyon, il Woody Cove e lo Stubby Canyon, sono caratterizzati dalla presenza di due muraglie (o headwalls) verticali, alte 150 metri che chiudono il fondovalle, formando una sorta di anfiteatro.

Altre formazioni del genere si trovano, oltre che nelle immediate vicinanze, anche in Islanda.

I geologi hanno spiegato come si siano formate le rocce dei due canyon. I flussi di lava basaltica si sono stratificati in spessori di circa 6 metri ciascuno. Durante il raffreddamento, la lava, contraendosi, si è screpolata come fa il fango quando secca. Questo processo ha formato delle crepe verticali che sono state a loro volta ricoperte da eruzioni e solidificazioni successive che, nell’insieme, hanno prodotto delle cataste di blocchi, originando quindi una struttura rocciosa che in Geologia viene definita ‘basalto colonnare’.

Mentre la formazione del basalto colonnare è ben compresa, non è altrettanto chiaro come e per quanto tempo le pareti verticali del Woody Cove e dello Stubby Canyon siano state esposte agli agenti atmosferici e per quale causa abbiano assunto questa curvatura ad U.

La spiegazione tradizionale è che i canyon siano stati formati tramite un processo chiamato “groundwater sapping” (letteralmente, acque sotterranee che indeboliscono), erodendo gradualmente il fondo del canyon e scavando un tunnel alla base della parete rocciosa finché questo ‘undercutting’, o scavo sottostante, ha destabilizzato la struttura, provocando la caduta dall’alto dei blocchi e delle colonne di basalto, dando così origine ad un anfiteatro.

Questa dinamica non trova conferma da parte del team del Caltech, per due motivi.

In primo luogo, non vi è alcuna prova di fenomeni del genere undercuttig, anche se ci sono sorgenti alla base dei due canyon.

In secondo luogo, è noto che l’undercutting dovrebbe lasciare grandi massi ai piedi del canyon, almeno finché questi non siano disciolti o asportati dalle acque sotterranee.

“Questi blocchi sono troppo grandi per essere spostati da flussi normali di corrente e non c’è stato abbastanza tempo perché abbiano potuto essere dissolti dalle acque sotterranee”, spiega Lamb. “Questo significa che ci sono volute probabilmente grandi alluvioni per rimuoverli. Per avere un canyon, dovrebbe essere stata erosa la parete della ‘testa’ che chiude la vallata e portati via i materiali crollati nel frattempo”.

Al momento non c’è acqua che scorra nella parte superiore dei due canyon, ma anche un solo intoppo nel flusso d’acqua durante un grande evento alluvionale, magari improvviso, può far precipitare i blocchi di basalto, la cui caduta risulterebbe agevolata dalla parete verticale già presente nella roccia vulcanica.

Un flusso di una certa portata potrebbe trascinare a valle i massi, lasciando dietro di sé i canyon ad anfiteatro che vediamo oggi, privi di grossi accumuli di massi al piede delle pareti e senza la necessaria presenza di corsi d’acqua.

Al Noble Gas Lab, Farley e Mackey hanno determinato che i campioni di roccia delle pareti terminali, costituenti la testa dei due canyon, sono stati esposti agli agenti atmosferici per lo stesso periodo di tempo, circa 46mila anni fa.

Se l’ipotesi di Lamb è giusta, risale a quell’epoca l’evento alluvionale che strappò i massi dalle pareti dei canyon , lasciandosi dietro gli anfiteatri.

Risolvere la questione dell’origine delle forme ad anfiteatro di questi canyon ha implicazioni che vanno al di là del centro-sud dell’Idaho, perchè caratteristiche simili, come si è detto – sia pure molto più grandi – sono presenti anche sulla superficie di Marte.

“Una interpretazione corrente su questi canyon marziani è che le acque sotterranee filtrino fuori dalle crepe alla base delle pareti dei canyon e che l’acqua non si sia mai riversata oltre i bordi”, afferma Lamb.

A giudicare dalle prove esistenti nell’Idaho, tuttavia, sembra più probabile che su Marte, come sulla Terra, le teste dei canyon-anfiteatro siano state originate da enormi eventi alluvionali, suffragando l’ipotesi che Marte sia stato, un tempo, un pianeta ricco d’acqua.

Leonardo Debbia
25 gennaio 2014