Deforestazione: la causa nascosta del riscaldamento globale

Scritto da:
Paola Nucera
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Molti credono che il riscaldamento globale sia causato dalla combustione di olii e gas. In realtà, il 25-30% dei gas serra rilasciati ogni anno nell’atmosfera provengono dalla deforestazione.
Le foreste pluviali formano una preziosa banda di raffreddamento intorno all’equatore terrestre, ma la loro deforestazione, in continuo aumento, attualmente viene considerata dagli esperti una delle principali cause del riscaldamento globale. Le emissioni di carbonio provenienti da questa attività, infatti, superano di gran lunga i danni causati dagli aerei, dalle automobili e dalle fabbriche.
La dilagante “slash and burn” delle foreste tropicali, ovvero la pratica del “taglia e bruci” come tecnica di coltivazione per rendere i terreni fertili con la cenere derivante dal disboscamento dell’area, è seconda solo al settore energetico in quanto a produzione di gas serra, secondo una relazione pubblicata dalla Global Canopy Programme (GPC), una cooperazione tra i principali scienziati di foreste pluviali, con sede a Oxford. Andrew Mitchell, responsabile del GCP, definisce le foreste tropicali “un elefante nel soggiorno dei cambiamenti climatici”, confermando il ruolo chiave che giocano queste aree nei problemi globali. Le cifre del GPC, che riassumono le più recenti scoperte delle Nazioni Unite, e le stime contenute nello Stern Report, un importante documento di riferimento, mostrano che la deforestazione raggiunge il 25% delle emissioni globali di gas che trattengono calore, mentre i trasporti e le fabbriche raggiungono il 14% ciascuno; il traffico aereo, invece, rappresenta solo il 3% del totale.

Gli scienziati affermano che la deforestazione di un giorno equivale all’impronta di carbonio di otto milioni di persone che volano a New York: ridurre queste emissioni catastrofiche può significare fermare più rapidamente e nel modo più economico la distruzione delle foreste del Brasile, Indonesia, Congo e altri paesi. Il GCP ci tiene a chiarire che non sono necessarie nuove tecnologie, ma solo la volontà politica e un sistema operativo e di incentivi da parte dei governi destinati agli individui, in modo da far capire che gli alberi hanno un valore maggiore in vita piuttosto che una volta abbattuti. Secondo Mitchell, i paesi ricchi concentrano la loro attenzione su soluzioni tecnologiche che riducano le emissioni, ma non forniscono nessun incentivo alle nazioni più povere per smettere di bruciare la foresta, non risolvendo quindi il problema. La maggior parte della gente pensa alle foreste solo in termini di assorbimento di CO2, ma gli alberi sono per il 50% carbonio e quando essi vengono abbattuti e bruciati, la CO2 che immagazzinano ritorna nell’atmosfera. La foresta pluviale dell’Amazzonia, il bacino del Congo e l’Indonesia sono considerati i polmoni del pianeta e la deforestazione di queste foreste nei prossimi quattro anni immetterà nell’atmosfera più CO2 di ogni volo nella storia dell’aviazione fino al 2025. L’Indonesia è divenuta la terza produttrice di gas serra nel mondo, il Brasile occupa il secondo posto. Nessuna nazione ha una presenza importante di industrie pari a quella di Europa, India o Russia, ad eccezione degli Stati Uniti e della Cina. Ciò che entrambi i paesi hanno in comune è l’utilizzo della foresta tropicale, che viene tagliata e bruciata con una rapidità sconcertante. Le colonne di fumo sono visibili nello spazio di cielo sopra i due Paesi, mentre le immagini satellitari catturano una simile immagine di devastazione in corrispondenza del bacino del Congo, tra la Repubblica Democratica del Congo, la Repubblica Centrale Africana e la Repubblica del Congo.

Secondo gli ultimi dati verificati risalenti al 2003, due miliardi di tonnellate di CO2 vengono immesse nell’atmosfera ogni anno a causa della deforestazione. Questa distruzione ammonta a 200.000 kmq abbattuti annualmente, corrispondente ad un’area di dimensioni pari a Inghilterra, Galles e Scozia. La restante foresta intatta si calcola che contenga un miliardo di tonnellate di carbonio. Il report del GCP conclude “Se perdiamo le foreste, perdiamo la lotta contro il cambiamento climatico”. Il protocollo di Kyoto, che regolamenta le emissioni di carbonio, non aveva originariamente incluso le foreste, ritenendo che la speranza maggiore per fermare il riscaldamento globale fosse limitare il mercato di carbonio; è ormai appurato che questo documento non è più sufficiente, da solo, a ridurre il riscaldamento globale, così come sottolineato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), ovvero il gruppo di lavoro costituito nel 1988 dall’Onu per lo studio dei cambiamenti climatici. La richiesta mondiale ha portato alla crescita dell’agricoltura intensiva, del taglio di alberi e dell’allevamento, dando inesorabilmente forza alla deforestazione; la conservazione e il commercio non si sono venuti incontro in alcun modo. Gli esperti forestali e i politici si sono incontrati a Bonn, in Germania, per tentate di collocare la deforestazione in cima alla lista dei problemi più gravi durante il vertice di Bali, in Indonesia. La Papua Nuova Guinea, una delle nazioni più povere al mondo, lo scorso anno ha dichiarato che non ha altra scelta che continuare con la deforestazione, salvo in caso in cui vengano forniti incentivi finanziari per sostituirla. Le nazioni più ricche riconoscono già il valore delle aree non coltivate. L’Europa offre una sovvenzione di 200€ per ettaro ai suoi agricoltori per incoraggiarli a lasciare le loro terre inutilizzate e destinarle a “servizi ambientali”. Tuttavia, non ci sono ancora accordi nello stabilire un valore per i terreni più importanti nei paesi in via di sviluppo. Più del 50% della vita sulla Terra risiede nelle foreste tropicali, che coprono meno del 7% dell’intera superficie del pianeta. Esse generano la maggior parte delle precipitazioni nel mondo e agiscono da termostato sulla Terra. Le foreste sono anche la dimora per 1,6 miliardi delle persone più povere della Terra, che si affidano ad esse per la sopravvivenza.
Gli esperti sostengono che i governi continuano a perseguire soluzioni fantascientifiche alla catastrofe del cambiamento climatico, preferendo sussidi per il biocarburante, sistemi di cattura del carbonio e centrali nucleari di ultima generazione. In realtà, fornire degli incentivi alle popolazioni che vivono nelle aree critiche, per creare delle attività alternative di sostentamento e assegnare un valore al carbonio che queste vitali foreste contengono, sembra l’unica via per rallentare la loro distruzione.

Paola Nucera