Cranio di rinoceronte conservato in ceneri vulcaniche di 9,2 milioni di anni fa

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto

I resti fossili, sia animali che vegetali, necessitano di un terreno che abbia condizioni particolari per consentire il processo di “fossilizzazione” di un organismo. Normalmente, le rocce “ideali” per queste condizioni sono le rocce sedimentarie, le rocce che si formano per la deposizione di piccole particelle di roccia trasportate dalle acque di dilavamento (fiumi, torrenti, mari) o dal vento, come le sabbie o le argille.

Il lento accumulo di queste particelle sui resti di un organismo, animale o vegetale, dopo la sua morte, possono conservarlo dalla  distruzione da parte di altri agenti, quali elementi atmosferici, altri animali o processi di alterazione chimica, fisica o biologica.

Mentre queste particelle, con il trascorrere del tempo, si consolidano in roccia, avviene la distruzione delle parti molli e la conservazione di quelle dure, quali gusci, scheletri, denti.

Ceratotheryum neumayri, cranio rinvenuto a
Karacasar (Anatolia, Turchia)
Cranio articolato e mandibola
a) vista laterale destra con angolo dentario
di 26° e tentativo di ricostruzione delle parti
mancanti (ossa nasali, parietali e occipitali);
b) mascella superiore;
c) mascella inferiore. L’aspetto ondulato e
corroso della superficie ossea è stato
interpretato come il risultato di una lunga
esposizione al calore del flusso piroclastico. (da Plos ONE)

Il processo di fossilizzazione è quindi un evento eccezionale e talvolta eccezionali sono anche i resti che vengono riportati alla luce.

Se si pensa ad un’area vulcanica, soggetta a condizioni fisiche e chimiche molto particolari, si comprende quanto la probabilità di trovare fossili in quell’area sia un fatto estremamente difficile.

E infatti la percentuale di fossili che possono essere rinvenuti nelle rocce vulcaniche ammonta a meno del due per cento.

Pur tuttavia, alcuni ricercatori dell’Università di Montpellier, Francia, hanno avuto la fortuna di poter rinvenire un fossile proprio in una roccia vulcanica. Si tratta del cranio di un rinoceronte che morì 9,2 milioni anni fa in Anatolia durante un’eruzione vulcanica scaturita dalla caldera Cardak.

Il resoconto dello studio relativo è stato pubblicato su PloS ONE di novembre da Pierre-Olivier Antoine, autore della scoperta.

Il fossile, rinvenuto nella Cappadocia, regione della Turchia centro-orientale, è ritenuto essere quello di un esemplare di Ceratotherium neumayri, un grande rinoceronte bicorno, comune nella regione mediterranea orientale durante il tardo Miocene, oggi estinto.

Ricostruzione grafica del Ceratotherium neumayri o Rinoceronte bicorno, comune nell’area mediterranea orientale durante il tardo Miocene (da Maeva J.Orliac; Antoine et alii).

Secondo i ricercatori, le caratteristiche inusuali del cranio rimaste conservate, quali la superficie ruvida della mascella, non usurata da lunghi contatti e la presenza di dentina, la cui fragilità  non avrebbe permesso una lunga esposizione ad agenti usuranti, suggeriscono che l’animale “sia stato cucinato a morte” in tempi rapidi, a temperature prossime a 500°C, nel corso di un’eruzione vulcanica simile a quella, celebre, del Vesuvio del 79 d.C.

L’orribile morte del rinoceronte, a detta degli studiosi, dovette essere praticamente istantanea, a seguito di una grave disidratazione del corpo dovuta all’intenso calore dell’eruzione. L’ipotesi si basa anche sulla posizione delle fauci dell’animale, rimaste aperte nell’ultimo mortale respiro.

“Il suo corpo – affermano – è stato cotto ad una temperatura vicina ai 400-500°C, poi smembrato dalla corrente piroclastica, che provocò la separazione del cranio dal resto del corpo”.

Il flusso ignimbritico provvide poi a trasportarlo a circa 30 km a Nord del sito interessato dall’eruzione, dove è stato scoperto dai quattro ricercatori.

Anche se altri studiosi hanno già identificato i fossili di organismi a corpo molle conservati in ceneri vulcaniche, la materia organica nei pressi di un’eruzione viene di solito distrutta dalle alte temperature, rendendo un fossile come questo estremamente raro.

Leonardo Debbia
3 dicembre 2012