Mobilità umana nell’antico Sahara collegata all’instabilità climatica

Scritto da:
Leonardo Debbia
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1 minuto

Guardando l’immensa distesa ondulata di sabbia dorata che sembra non avere né un inizio né una fine, con le dune imponenti che si stagliano contro un cielo terso e arroventato, si fa fatica a immaginare che quei luoghi, all’apparenza ostili e inospitali, abbiano potuto ospitare un tempo vallate lussureggianti di vegetazione, percorse da ruscelli e torrenti.

Eppure,nel corso dei millenni, il Sahara ha alternato fasi di verdeggiante pianura a fasi di dura siccità. Durante i periodi in cui era resa fresca dalle piante ed era solcata dai corsi d’acqua, questa regione ospitò anche una discreta varietà di vita animale, compreso quella umana.

I bioarcheologi Christopher Stojanowski e Kelly Knudson, dell’Arizona State University, stanno ora studiando i resti di queste antiche popolazioni, cercando di capire come il cambiamento climatico abbia influenzato le loro capacità e le necessità di spostamenti in quella parte di mondo.

sahara

Il sito di ricerca dei due studiosi si trova nel centro del Niger. Conosciuto come Gobero, durante l’Olocene medio, circa 5-7mila anni fa, è stato sede di un grande lago.

Gli uomini che a quel tempo eressero le loro capanne intorno all’antico lago praticavano la caccia, una rudimentale agricoltura e la pesca. Qualcuno allevava bestiame.

Insieme ad altri collaboratori dell’Università di Chicago, Stojanowski ha diretto gli scavi del sito, riportando alla luce numerosi reperti scheletrici.

Tornato all’Arizona State University, nel laboratorio archeologico di chimica, Knudson ha campionato ossa e smalto dei denti e utilizzato le impronte chimiche per determinare le origini degli antichi individui, così come ha cercato di delineare meglio i luoghi in cui avevano trascorso la loro esistenza.

I risultati dello studio suggeriscono che queste popolazioni avevano scelto varie strategie di mobilità territoriale, spostandosi in relazione ai cambiamenti climatici, ma che verso la fine della loro occupazione della zona del lago, quando l’ambiente divenne più asciutto, questi popoli del Sahara diventarono sicuramente ancora più mobili.

“L’aspetto più interessante di questa ricerca è che ci consente di ottenere informazioni dall’insieme di varie discipline – antropologia, chimica e geologia – per comprendere come gli esseri umani in passato abbiano reagito ad una modifica radicale dell’ambiente, divenuto secco e asciutto”, dice Knudson.

Aggiunge Stojanowski “I dati sembrano indicare che questo passaggio verso una maggiore mobilità sia avvenuto solo alla fine della sequenza archeologica, fatto che suggerisce che le risposte alle crescenti condizioni aride dovettero verificarsi solo quando l’ambiente divenne insopportabile”.

Stojanowski e Knudson sono docenti presso la Scuola di Evoluzione Umana e Cambiamento sociale nel College of Liberal Arts and Sciences ed hanno pubblicato il loro studio sull’American Journal of Physical Anthropology.

Anche se gli individui oggetto della ricerca vissero e morirono migliaia di anni fa, secondo Knudson la civiltà attuale avrebbe molto da imparare da loro.

Capire come si siano adattati alle condizioni aride può essere d’aiuto per le popolazioni attuali e quelle future per poter affrontare e risolvere le sfide climatiche.

Stojanowski sottolinea che una lezione da imparare potrebbe essere che è purtroppo nella natura umana ignorare un problema, come può essere il degrado ambientale, finchè non si è costretti ad affrontarlo seriamente.

“In questo caso, il Sahara ne usciva sempre vincitore”, afferma lo studioso. “Il risultato, però, è stato che un vivace centro di vita e di esperienza umana, esistente da oltre 5000 anni, è stato completamente abbandonato e ceduto alle sabbie”.

Leonardo Debbia
21 aprile 2014