Accumulo di anidride carbonica negli oceani durante l’ultima Era glaciale

Scritto da:
Leonardo Debbia
Durata:
1 minuto
Carota di ghiaccio prelevata a 2950 metri di profondità di un’età di circa 150mila anni. E’ divisa in pezzi di un metro di lunghezza e di 10 cm.di diametro per ulteriori analisi di laboratorio. (Alfred Wegener Institute)

Perchè l’atmosfera era così povera di anidride carbonica durante l’ultima Era glaciale, 20mila anni fa? E perché la quantità di CO2 si è accresciuta quando il clima della Terra è divenuto più caldo? Forse, i processi avvenuti in mare sono la causa di tutto questo.
E’ stato fatto uno studio sull’argomento, poi pubblicato sulla rivista scientifica Science dai ricercatori delle Università di Berna e di Grenoble e dell’Istituto Alfred Wegener per la Ricerca marina e polare della Helmholz Association. Circa 20mila anni fa, durante l’ultima glaciazione, la concentrazione di anidride carbonica atmosferica era nettamente inferiore rispetto al periodo successivo, privo di ghiacci, in cui la temperatura era divenuta più mite. Già da due decenni gli studiosi, effettuando misurazioni termiche su alcune carote di ghiaccio antartiche, erano venuti a conoscenza di questa variazione.

Recentemente, un team internazionale di glaciologi ritenne che questa bassa concentrazione di CO2 risalisse a tempi ancor più remoti. Oggi, i ricercatori hanno scoperto che lo stretto rapporto tra i valori di CO2 e la temperatura ha interessato un arco di tempo ben più lungo e precisamente gli ultimi 800mila anni, con basse concentrazioni di CO2 durante i periodi glaciali e più elevate concentrazioni di CO2 durante i periodi caldi.

I ricercatori hanno anche cercato di rispondere a queste due domande: 1) Dove è finita l’anidride carbonica durante le ere glaciali? e 2) Come è tornata nell’atmosfera al termine del freddo?

 “Siamo stati in grado di individuare negli oceani i processi che sono collegati all’incremento di anidride carbonica osservato”, afferma il Dott. Jochen Schmitt, autore dello studio pubblicato e ricercatore presso il Centro Oeschger per la Ricerca sui Cambiamenti Climatici dell’Università di Berna.

Secondo Schmitt, durante l’Era glaciale l’anidride carbonica si era gradualmente accumulata nelle profondità degli oceani, causando una precipitazione di CO2 nell’atmosfera. Solo alla fine dell’Era glaciale la CO2 è poi stata trasportata in superficie a causa di una radicale modifica della circolazione oceanica e quindi emessa nuovamente nell’atmosfera, scrive il ricercatore sulla rivista scientifica Science.

Un nuovo metodo per la misurazione degli isotopi ha ora reso possibile per la prima volta di “codificare in modo affidabile l’impronta digitale della CO2 conservata nel ghiaccio”, spiega Schmitt. Assieme al suo collega, Prof. Hubertus Fisher, hanno inizialmente sviluppato questi nuovi metodi di misurazione degli isotopi sulle carote di ghiaccio presso l’Istituto Alfred Wegener per la Ricerca marina e polare. I metodi sono poi stati ulteriormente affinati dai due studiosi durante diversi anni di ricerca congiunta, dopo essersi trasferiti a Berna. Usando il nuovo metodo, i glaciologi estraggono completamente l’aria intrappolata nel ghiaccio, isolando l’antica anidride carbonica contenuta. I differenti isotopi della CO2 vengono così messi a confronto e analizzati in uno spettrometro di massa. Da questi dati può essere stabilita l’età dell’anidride carbonica.  Questo metodo di studio era già stato intuito dagli studiosi negli anni Ottanta, ma non era stato possibile fare una analisi accurata della CO2 intrappolata nel ghiaccio antartico a causa delle difficoltà tecniche incontrate.
Oggi tutto questo è stato superato dagli scienziati dell’Università di Berna e dell’Istituto Alfred Wegener per la Ricerca marina e polare.  “I nuovi dati hanno permesso di rivedere e migliorare alcune teorie sulle possibili cause delle fluttuazioni di CO2. I dati di misurazione del passato ci consentono di avere un’idea più chiara su come appariva il clima alla fine dell’Era glaciale” dice Jochen Schmitt. “Ora i dati debbono essere confrontati con i risultati dei modelli climatici per verificare e sviluppare ulteriormente questi modelli. Oltre alla curiosità scientifica su come la Terra ha funzionato in passato, l’interrogativo principale è su come la Terra si svilupperà sotto l’influenza dell’Uomo”, sottolinea Schmitt.
“Si tratta di scenari importanti per il futuro, perché il contenuto di CO2 negli ultimi 800mila anni non è mai stato così alto come oggi”, conclude il ricercatore del clima.

                                                                                                               Leonardo Debbia